"Caro" biglietto, hai vinto ancora

26.04.2019 22:00 di  Luca Frasacco   vedi letture
"Caro" biglietto, hai vinto ancora
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

All'indomani della sconfitta nei play-off di Serie B contro il Carpi, stagione calcistica 2016/2017, c'era chi consolandosi magramente con l'attesa di giocare la prima partita nel Benito Stirpe, si preoccupava di quanto potesse risultare abbandonato e fievole uno stadio pensato per giocare in Serie A; eppure l'affetto dei tifosi ciociari regalò alla squadra una discreta e continua presenza di pubblico sugli spalti, culminata nell'apoteosi di Frosinone-Foggia, una serata unica non ovviamente per il risultato, ma per l'atmosfera attorno al campo: prima occasione in cui dentro lo Stirpe rimbombavano soltanto voci ciociare, essendo la trasferta proibita ai tifosi ospiti, e non essendoci nemmeno l'ombra di biglietti disponibili a poche ore dal calcio d'inizio. Ma il timore dello stadio vuoto si sarebbe poi ripresentato senza troppo farsi attendere. Che le prestazioni della squadra non potessero trascinare chi al seggiolino preferisce il divano era cosa intuibile; che l'avvento in ciociaria delle più forti squadre italiane non richiamasse all'appello i sostenitori residenti nel Lazio è stata invece una spiacevole sorpresa. Il campionato è ancora in corso, certo, e a far visita allo Stirpe manca ancora il Napoli, è vero, ma in occasione dell'ultima partita contro l'Inter si è quasi completato un quadro dai colori sbiaditi. 

Bianco e nero come quelli della Juventus, unica squadra che finora è riuscita a far stringere i 16225 (verosimilmente anche più) tifosi presenti allo stadio in quella sera di fine settembre. Al secondo posto nella speciale classifica c'è proprio la partita di circa una settimana fa, contro l'Inter, 15856, poi Milan 15217, Roma 15063, e Lazio 14242. Probabilmente la trasferta di Napoli potrebbe stanziarsi seconda in classifica. Anche in caso di en-plein, comunque il giudizio sul risultato ottenuto non cambia. Chiaramente imprevisto il fatto di non vedere uno stadio pieno nei big-match con squadre che sino a questo punto della stagione sono ancora in lotta per la Champions League, sorprendente non aver raccolto il pieno affetto dell'impianto nelle sfide cruciali per la salvezza. Probabilmente il Frosinone non può contare su sedicimila affezionati, o realisticamente non può contare su spettatori disposti a sborsare le cifre richieste dalla società per assistere al preventivato "spettacolo", se di spettacolo in questa stagione si è potuto parlare. Il prezzo delle centinaia di tagliandi che sono rimasti invenduti per raggiungere il sold-out nelle gare prima citate, superava i cento euro fino a toccare i trecento per la tribuna autorità, e ci si domanda se in alcuni casi il trattamento riservato dalla società agli abbonati in curva sud, prontamente spostati in Tribuna Est - e dunque in un settore più costoso - per concedere altri posti ai tifosi ospiti, abbia favorito il riempimento di seggiolini altrettanto costosi (ottanta euro) e potenzialmente a rischio di rimanere giacenti.  

Il fenomeno del "caro" biglietto, ha avuto la meglio anche in questo caso. Impossibile chiedere uno sforzo economico a chi persino in Serie B era poco presente, utopico pensare di avvicinare nuovi sostenitori con i costosi seggiolini rimasti dalla campagna abbonamenti, inaccettabile continuare a vendere a stagione in corso -visto e considerando la media spettatori- agli stessi identici prezzi stabiliti in estate. Una dura filosofia da perseguire, che se da più fronti porta solamente dispiaceri, come unico punto a favore vede il rispetto per chi al gioco dei prezzi c'è stato, scegliendo di bloccarli con il pagamento dell'abbonamento e di assistere ai primi big-match, quando la speranza di salvezza era tenuta a galla dalla lunghezza del campionato. Ma il riguardo per i fedeli non è abbastanza. In una stagione che rischia di essere, punti in classifica, ancora più deludente della prima partecipazione in Serie A, lo Stirpe vuoto è stato un pugno nell'occhio difficile da non ricordare, e lascia un'angosciante delusione, avendo privato, ancor prima del fischio d'inizio, il popolo di una festa pur di accettare le basilari regole del mercato percorribili per raggiungere il risultato del botteghino, che molto probabilmente potevano essere eguagliate, se non superate, permettendo un incontro della domanda e dell'offerta, continuando a fidelizzare il pubblico e chissà, magari provando un nuovo piano per evitare che ad aprile inoltrato si parli ancora di una sola vittoria tra le mura amiche e del peggior rendimento in casa del campionato. 

Raggiungere qualche volta in più, il tutto esaurito, o avvicinarlo nelle partite di minor visibilità, non avrebbe risolto tutti i problemi della squadra, anche perché di contrasti e screzi persino le tribune non sono state prive: le esultanze dei tifosi delle squadre ospiti, "infiltrati" nei settori dedicati al pubblico di casa hanno spesso surriscaldato gli animi costringendo persino le Forze dell'Ordine ad intervenire, e la differenza di opinione circa il comportamento da rivolgere alla squadra ha spesso diviso gli stessi tifosi ciociari: se la parte centrale della curva nord, in alcuni momenti critici della stagione ha rivolto applausi ai giocatori, la sud fischiava, così come la tribuna, spesso volenterosa di lasciare anzitempo l'impianto. 

Il sold out non è sempre avvicinabile, né tantomeno un obiettivo che se lo si sfiora, è come se lo si fosse raggiunto. 
Il concetto di sold-out, quando il tifo è unanimemente indirizzato verso un'unica squadra, diventa un'arma in più su cui poter contare. La certezza di sold out è invece un elemento tanto prezioso quanto remunerativo, di cui il Frosinone non ha avuto bisogno per poter mettere in atto una scellerata politica dei prezzi. Come può essere remunerativo? Chiedere alla Juventus, squadra a cui -prima del fallimento post eliminazione Champions League ad opera dell'Ajax- l'unica critica che si potesse rivolgere era quella di avere uno stadio piccolo, troppo piccolo per la grandezza del club, e che ha visto proprio nella partita disputata contro il Frosinone, una contestazione in atto dei propri tifosi per i prezzi troppo alti. La Juventus fa leva su un vantaggio molto semplice: quando l'offerta diminuisce (mettere a disposizione pochi biglietti per le partite, visto i "soli" quarantamila seggiolini) e la domanda aumenta (la richiesta dei tagliandi per la squadra più forte d'Italia è sempre altissima), il prezzo può salire. Non è un caso che Inter e Milan stiano pensando proprio a questo. Nella testa delle due società ci sarebbe uno stadio meno capiente, sia che si tratti di ridurre i posti di San Siro, sia che si tratti di demolirlo per poi ricostruirlo, sia che si tratti di costruirne due separatamente. Già, ridurre la capienza dello stadio più grande d'Italia per ridurre i costi di gestione ed alzare quelli dei biglietti. Vallo a spiegare ai tifosi. Vallo a spiegare anche a chi spera che in Italia si possano organizzare delle manifestazioni sportive internazionali da sold out (Champions League, Europei, Mondiali, Olimpiadi!) per beneficiare dell'indotto, e a cui dunque diecimila visitatori in più farebbero comodo. Vallo a spiegare a chi del calcio non importa, ma anzi, non vede l'ora che finisca il campionato per attendere il via della stagione dei concerti e a cui certamente non si farebbe un favore. In una direzione più lungimirante sembra si stia muovendo la Roma, che aspetta uno stadio da 52.500 spettatori (espandibile a 60.000), un numero più che sufficiente per rispondere sia alle esigenze della squadra (che ad esempio  nell'ultimo ottavo di Champions League contro il Porto ha aperto i cancelli a 51.727 spettatori) sia a quelle dei cittadini, e a quelle degli organizzatori di altri eventi artistici e culturali. 

Sold-out come strumento ed arma per le società dunque, fin quando le previsioni del comportamento collettivo non fanno i conti con la semplice mancanza di volontà del singolo di assistere ad uno spettacolo che in ciociaria non c'è mai stato; sold-out che non è una questione di posti né (troppo) di prezzo, ma di entusiasmo che si riesce a creare; perché alla fine sono i giocatori a "nutrire" quello dei tifosi, e se qualcuno si aspettava qualche seggiolino vuoto in meno, forse non ha considerato che cosa si vende allo stadio: un sogno; un sogno a cui, a prescindere dal prezzo, non è mai stato dato motivo per credere.