E adesso chi parla di umiltà? 

01.10.2019 20:00 di  Luca Frasacco   vedi letture
E adesso chi parla di umiltà? 
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© foto di Antonello Sammarco/Image Sport

In una sola occasione Alessandro Nesta ha perso il controllo in questi mesi a Frosinone: quando dopo la partita contro il Venezia, da parte di un giornalista, è stato chiesto a lui e alla sua squadra se fosse necessario immergersi in un bagno d’umiltà. 
Dopo esser letteralmente sobbalzato dalla sedia, la reazione dell’allenatore non è stata delle più diplomatiche, sfociando in una sintesi da lui stesso virgolettata: “Di umiltà ne abbiamo fin troppa, si fidi.” L’etichetta del vincente è forse più difficile da gestire di quella del mediocre. E Nesta vincente lo è stato. Ed era già pronto a contrastare chi stava per attribuirgli la descrizione dello spavaldo o presuntuoso. Ma non l’ha presa solo sul personale. Ha percepito che la mancanza di umiltà venisse imputata anche al gruppo. A dir la verità, lo stesso Nesta parlò di “gente demotivata dopo la stagione in A”. L’abbiamo visto tutti, persino nel corso del campionato passato in massima Serie, e il dubbio guardando le recenti partite permane.

Mentre nell’era Marino la frase “metabolizzare la retrocessione” è stata tirata in ballo fino alla fine dei play-off, sembra proprio che questo sia l’anno in cui bisognerà sopportare lo slogan delle motivazioni mancanti. D’altronde la stagione in B è iniziata così: la prima sconfitta contro il Pordenone per 3-0 era quella di una squadra priva di stimoli.
Ma qualsiasi compagine dovrebbe essere capace di dare un taglio al passato; il Frosinone fino a due anni fa non ne è stato in grado soffrendo ancora per i fantasmi della semifinale col Carpi e per quelli della gara contro il Foggia, ma questa stagione, appena cominciata, dovrà dare delle risposte anche in tal senso.   

Il tecnico più volte lo ha ricordato: “Attenzione, perché si può rischiare la fine del Crotone”. Qual è la fine del Crotone? Quella di una squadra appena retrocessa in B, che si ritrova improvvisamente a lottare per la salvezza, e a salvarsi all’ultimo respiro, piuttosto che sperare di tornare nell’Olimpo del calcio italiano.  
Ma il rimbombante avvertimento sta ora assumendo i contorni della verità: “Fosse mai che ce la stiamo ‘tirando’ la soli?”. C’è chi lo ha detto sorridendo (ma neanche troppo). 

Nei giorni scorsi infine, il richiamo alla modestia è stato rilanciato dall’allenatore all’intera piazza. Nesta ha trovato alcune critiche eccessive, il comportamento dei tifosi a tratti inspiegabile.

Il paradosso del ragionamento fa attribuire stranamente la ‘colpa’ ai sostenitori. Nesta ha conosciuto la Curva Nord nel momento in cui cantava per la squadra mentre incassava cinque brutti gol dalla Sampdoria. Forse è stato abituato male. Raggiunta la comfort-zone della Serie B, quando il calcio-mercato sulla carta sembrava quasi adatto (eccezion fatta per il grande attaccante mancante) alle aspirazioni più rosee, tutti si sono sentiti legittimati a pretendere una partenza sprint, che purtroppo non ha mai preso il via. 

Alt. Un avvertimento a questo punto è d’obbligo. Ricominciare a parlare di umiltà della piazza, dei campi in terra e fango, del “si dovrebbe tornare ai tempi in cui non avevamo maglie da indossare”, appare ormai quanto di più inutile alla causa e fuori luogo.

Oggi il Frosinone Calcio ci parla di stakeholder, dei tifosi che sono i proprietari della squadra, dei tifosi che contribuiscono con i bond ai progetti societari... E poi ci si stranisce pure davanti a qualche lecita forma di contestazione. Il tifoso vero sarà sempre vicino alla squadra, ma a volte esistono modi diversi di manifestare amore, anche per il bene reciproco. 
Perché lo scorso anno niente è andato bene a nessuno, e nessuno ha mosso un dito. Forse bisogna accentuarlo. Niente è andato bene a nessuno, e nessuno ha mosso un dito. Trotta non segna? Che lo fischiassero. Salvi commette un fallo ingenuo? Che si prenda un ‘vaffa’. Zampano si perde l’uomo? Il Frosinone passa venti minuti in attacco senza sapere che fare? Che si abbandoni lo stadio. Funziona così ovunque. Ma l’anno scorso lo abbiamo scritto: “Stavolta niente applausi.” Stavolta forse le pretese sono aumentate perché assieme al Frosinone (eccome se è cresciuto il Frosinone) sono cresciuti anche i tifosi. 

E se l’anno scorso hanno abbandonato lo stadio a causa di prezzi irragionevoli, con l’abbassamento degli stessi il Frosinone in B è diventata la prima squadra per numero di fedeli, che si ritrovano a guardare uno spettacolo spiacevole, provando il diritto di contestare.  

Mai sentito Luciano De Crescenzo dire “La vita potrebbe essere divisa in tre fasi: Rivoluzione, Riflessione e Televisione. Si comincia con il voler cambiare il mondo e si finisce col cambiare i canali”? E se i tifosi vogliono contestare sempre meglio uno stadio pieno, pronto a fischiare, che una pay-tv più ricca. 
Questa è vita. È la voglia di lottare, il desiderio di non starci e non potrà mai essere calmato da suggerimenti, da dichiarazioni pacate, dal “troviamo una strada a metà”, da allarmanti conferenze, da comunicati di smentita e da accurate censure agli organi stampa. Perché vita è anche impulso irrazionale. Se ne facciano una ragione. 

Da esimi esponenti della società in questi anni è passato un messaggio chiaro: “Per il Frosinone, la Serie B è il paradiso, la Serie A invece sarebbe un posto accanto al Padre Eterno”. Nulla da ridire. Ma il modo in cui si sta vivendo questo paradiso non piace proprio a nessuno. 

Ad alimentare il fuoco di chi non ci sta a vedere il Frosinone conquistare il minimo dei punti nelle prime sei partite di serie B in tutte le partecipazioni al torneo, ci hanno pensato le speranze iniettate dalla dirigenza attraverso la voce del suo presidente, Maurizio Stirpe, dentro le menti dei tifosi - pardon, inquadriamola in modo opportuno, degli stakeholder - visto che gli interessi ormai sono un po’ di tutti: “Il Frosinone non potrà mai competere per obiettivi minimali”. Una frase che ha inorgoglito, ma che ora non necessita di essere spiegata o contestualizzata. 

Ma allora chi si aspetta l’umiltà, cosa intende esattamente?